L’intervento dei Sette Grandi dopo la telefonata tra Putin e il cancelliere tedesco. Zelensky ringrazia Meloni e gli alleati: «Con Donald fine del conflitto più vicina»
Il giorno dopo la telefonata tra Olaf Scholz e Vladimir Putin e a mille giorni dall’inizio dell’invasione, il G7 parla chiaro: nessun passo indietro con Kiev. Il comunicato dei Sette, nato su iniziativa della premier Giorgia Meloni, non lascia dubbi. «Riaffermiamo il nostro fermo sostegno all’Ucraina per tutto il tempo necessario – si legge nella dichiarazione – e rimaniamo solidali nel contribuire alla sua lotta per la sovranità, la libertà, l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sua ricostruzione». Parole nette sono state rivolte anche alla Russia, individuata come «unico ostacolo a una pace giusta e duratura». E per il G7 non ci sono dubbi: Mosca dovrà continuare a pagare per avere scatenato il conflitto nel 2022. Un prezzo fatto di sanzioni, di embargo e di un controllo soffocante su tutto ciò che può alimentare l’apparato bellico del Cremlino. E su questo tema, ieri è stata esplicita anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Il segnale lanciato dal Gruppo dei Sette è servito soprattutto a evitare fraintendimenti. L’apertura al dialogo mostrata dall’ultima iniziativa del cancelliere tedesco e dalle parole di Donald Trump non deve essere vista da Kiev come un dietrofront repentino. E in vista del G20 di Rio de Janeiro, l’Occidente è sembrato volere mettere da subito le cose in chiaro. Una rassicurazione apprezzata dal presidente Volodymyr Zelensky che si è detto «profondamente grato alla presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni e a tutti i leader del G7 per la loro voce unita nel sostenere l’Ucraina». Ma il leader del Paese invaso sa bene che l’Occidente si interroga da mesi su come rimodulare il supporto all’Ucraino. E non è un mistero che con Trump alla Casa Bianca, molti leader e osservatori pensano che si possa accelerare il negoziato con la Russia.
Guerra Ucraina-Russia, Zelensky: «Grazie a G7 e Meloni per sostegno unitario a Kiev»
L’ESORTAZIONE
Zelensky ne è perfettamente consapevole, tanto che ieri ha esortato a «fare di tutto affinché questa guerra finisca l’anno prossimo» e che ciò avvenga con «mezzi diplomatici». Con la precisazione, però, che il capo del Cremlino cerca solo «la capitolazione» di Kiev. Una presa di posizione che è anche un’apertura nei confronti del tycoon, il cui ritorno, a detta del presidente ucraino, farà finire prima il conflitto. I funzionari di Kiev lavorano da settimane per cercare di convincere Trump a non cambiare radicalmente l’agenda Usa sulla guerra. In campagna elettorale, The Donald, J.D. Vance e molti membri della futura amministrazione sono apparsi contrari al mantenimento di questo flusso di aiuti in favore dell’Ucraina. E lo stesso Zelensky, secondo il Financial Times, avrebbe già modificato il suo “piano per la vittoria” per renderlo più appetibile a Trump e al suo staff, tra promesse riguardo le risorse naturali, investimenti e possibile impiego dell’esercito ucraino in Europa.
La diplomazia si muove, così come lo fa il governo di Kiev. Ma tutto passa inevitabilmente dal campo di battaglia. Putin, deciso ad arrivare al tavolo delle trattative in una posizione di netto vantaggio, non sembra affatto intenzionato ad allentare la pressione. Solo nella notte tra venerdì e sabato, le forze russe hanno lanciato più di 80 droni contro l’Ucraina, che da tempo chiede a gran voce sistemi per la difesa aerea, intercettori e armi. E secondo l’Institute for the study of war, le truppe di Mosca sono avanzate vicino Kupyansk, Toretsk, Pokrovsk, Kurakhove e Vuhledar. L’esercito ucraino ha compiuto di nuovo assalti nel Kursk, la regione russa parzialmente occupata dalle forze di Kiev. Ma in quell’oblast che Putin vuole riconquistare prima che si arrivi al negoziato, le truppe ucraine ora devono fronteggiare una pesante controffensiva a cui si sono aggregati i soldati inviati dalla Corea del Nord. Secondo i servizi occidentali e sudcoreani, le truppe di Kim Jong-un sono già in prima linea nel Kursk. E in questi giorni, alcune foto circolate sui social e le dichiarazioni di fonti dell’intelligence ucraina hanno confermato che Pyongyang ha mandato a Mosca anche la propria artiglieria. Per il Financial Times, la Corea del Nord avrebbe già mandato 50 obici semoventi M1989 “Koksan” e 20 lanciarazzi da 240 mm. Secondo gli esperti, questi sistemi sono usati dagli stessi soldati di Kim, già addestrati al loro utilizzo. Ed è solo l’ultimo indizio di come ormai Pyongyang sia diventata un’enorme fucina di armi, munizioni e soldati per la guerra di Putin. E in base a quanto riporta The Guardian, una nave spia russa è stata scortata fuori dal Mare d’Irlanda dopo essere entrata nelle acque controllate dall’Irlanda e aver pattugliato un’area contenente cavi e condutture sottomarine per il trasporto di energia e Internet di importanza critica.